domenica 31 gennaio 2016

Autunno sul Sirente – dalla val Lupara a Punta Macerola passando per la vetta principale




A volte è strano il destino. Per la seconda volta in poco più di un anno mi sono ritrovato su una straordinaria montagna che per tanti anni avevo desiderato conoscere da vicino ma che invece mi era sempre stata negata per diversi motivi.
Così, dopo la straordinaria traversata di una parte della cresta del del Sirente effettuata a giugno del 2014 con l’amico Alessandro (Alexmoscow), questa volta mi ritrovo ancora qui, in compagnia della fidata amica Caterina, in una giornata di metà autunno, luminosa ma fredda.
La brina ricopriva i pratoni del Sirente con un velo bianco, nella scarsa luce grigia di un sole non ancora sorto. 

Parcheggiamo accanto allo chalet e ci infiliamo nella fitta faggeta, rivestita con i caldi toni dell’autunno e fin dai primi passi mi sono abbandonato al ricordo dell’emozione che provai sedici mesi prima, quando il sole dell’estate gettava i suoi raggi obliqui sul fitto letto di foglie che ricopriva il sentiero. Dentro quei raggi d’argento si muovevano lentamente piccole creature lucenti, granelli di polvere e polline che catturavano il sole ruotando, danzando e cadendo piano, come un leggero nevischio.
Era come muovere i primi passi all’interno di una foresta uscita fuori dalla fantasia di uno scrittore di favole, e noi eravamo i protagonisti.
Con questi pensieri, percorriamo il bosco in ripida salita badando bene a non perdere i segni bianchi e rossi dipinti sui tronchi e sui massi, soprattutto in corrispondenza dei quattro incroci che si devono superare nella parte iniziale del percorso.

All’uscita del bosco, una piccola radura ci svela uno degli emblemi più noti del Parco Velino/Sirente, la Neviera, un’immagine pulita e stupefacente, una dimostrazione della bellezza che l’Appennino offre nei suoi numerosi aspetti dolomitici.

Da qui in poi, liberi dalla cortina vegetale del bosco, iniziamo a goderci i panorami ad ampio raggio verso est fino ai lontani profili del Gran Sasso e della Majella. Inizia anche lo stretto rapporto visivo e spesso anche fisico con le magnifiche rocce che caratterizzano il versante orientale del Sirente. 
Si entra nella selvaggia e solitaria val Lupara che si risale leggermente fino ad un certo punto, per poi attraversarla su un evidente sentiero tra erba bassa e ghiaie, fino a raggiungere il lato opposto, chiuso da un cordone roccioso che la separa dalla valle Inserrata (Canalone Majori).

Il sentiero si sviluppa per un lungo tratto proprio a breve distanza dalle rocce che precipitano nella valle Inserrata permettendo vertiginosi affacci sull'intera struttura del canale. Si percepisce facilmente la sensazione di essere sospesi su un mondo di rocce dove il fiato a tratti si ferma e la mente si appaga su visioni che ogni parola non è capace di descrivere mai abbastanza.

Dopo un paio di brevi cenge e un passaggio finale su divertenti roccette, giungiamo al punto finale della salita indicato da un paletto posto sul bordo della cresta. Da questo punto si svela tutto l’altopiano erboso che come un’immensa tavola inclinata color giallo-ocra scende dolcemente e senza ostacoli verso occidente, sottolineando l'aspetto totalmente diverso rispetto al versante opposto.

Percorriamo un tratto di cresta mantenendoci sulla quota dei 2300 metri e poco distanti dal bordo che scende a precipizio sui canali orientali e che lascia intravedere a tratti gli straordinari balzi rocciosi e le tormentate giogaie che scendono a precipizio fino al fitto manto boschivo.
In breve si giunge alla vetta del Sirente, 2348 mt. 

Dopo la consueta sosta pranzo si ripartire proseguendo in cresta verso la piramide di rocce che appare di fronte a noi, traguardo finale della nostra escursione. Punta Macerola, 2258 mt.

Da qui torniamo indietro mantenendoci a mezza costa sul pietroso versante occidentale del Sirente giungendo al paletto che indica l’inizio del sentiero che ci riporta giù lungo la val Lupara ripercorrendo la via dell’andata.


Se il buon tempo si vede dal mattino, quest'alba sembra accoglierci davvero in grande stile.

I pratoni del Sirente

 La Neviera del Sirente


 All'uscita dal bosco, l'orizzonte si svela fino ai profili lontani della Majella...

Si attraversa la val Lupara

 L'affaccio sulla valle Inserrata (Canale Majori)










Punta Macerola, 2258 mt.

Il laghetto del Sirente osservato dalla vetta di Punta Macerola







A coronamento di una giornata perfetta, ci accoglie un suggestivo tramonto che infuoca il profilo del monte Velino, così come si vede dall'autostrada.




lunedì 21 dicembre 2015

La val Canneto, tra storia, natura e tradizioni, una lunga traversata fino a Forca Resuni e monte Capraro




Camminare lungo la valle di Canneto vuol dire immergersi in uno straordinario ambiente dove la natura si manifesta sotto tutti i suoi migliori aspetti ma non soltanto: è uno scrigno inesauribile di storia millenaria e tradizioni.

Qui ogni pietra è sacra, ogni vecchia casa in rovina ha un mistero da svelare, dietro ogni muro c'è una tradizione popolare che aspetta di essere raccontata,

La valle di Canneto è un profondo solco boscoso, racchiuso da magnifiche pareti montuose che culminano con vette quasi tutte oltre i 2000 metri. In alcuni casi i versanti delle montagne si avvicinano a tal punto che la valle diventa un'oscura e stretta gola, con un torrente che a intervalli esce dalle rocce per poi scomparire interrandosi nel suolo calcareo per poi di nuovo riaffiorare alla base di enormi massi creando specchi d'acqua, brevi ruscelli e cascate. E' il fiume Melfa, le cui sorgenti ufficiali, cariche di storia e leggende, si trovano poco a monte del Santuario ma che in realtà sono presenti in tutta la valle.

E' erra di lupi, orsi, cervi, caprioli e tanti altri animali selvatici. Non è difficile avvistarli.
Il camoscio è il padrone incontrastato delle alte quote ed è presente ovunque, nelle aride pietraie e tra le rocce oltre i 1800/2000 metri di quota.

Il punto di partenza della nostra lunga escursione è il bianchissimo Santuario della Madonna di Canneto, che brilla nell'oscurità della fitta faggeta. La struttura racchiude la preziosa statua della "Madonna Bruna", imperniata di numerose e affascinanti leggende popolari, molto venerata dalle popolazioni di almeno quattro regioni e parecchie generazioni.

Il percorso nel fondovalle si sviluppa per circa 8 km. in lieve salita. Il lato destro del sentiero (sinistra orografica) è sempre affiancato dal letto del torrente. Lungo il tragitto si incontrano alcune strutture. la prima, a poche decine di metri dalla partenza, è la Casa Salesiana. Segue dopo 4 km. il rifugio Acquanera del CAI di Cassino e successivamente, in un'ampia radura accanto accanto al torrente, i ruderi del Casone Bartolomucci, la residenza di un'antica famiglia di proprietari terrieri.
Giunti in località Tre Confini, alla quota di 1496 metri, il fitto bosco di faggi inizia ad aprirsi in ampie e luminose radure che svelano i tormentati rilievi della Camosciara, con le cime Tre Mortari, Balzo della Chiesa e monte Capraro, tutti caratterizzati da formazioni rocciose che emergono dalla fitta vegetazione di faggi e conifere, in particolare pini mughi.

La valle dei Tre Confini si sviluppa per circa 2 km. in ripida salita e su sentiero tortuoso e con vegetazione rada, costituita maggiormente da conifere. Sul lato destro incombono le solenni muraglie rocciose dei monti della Meta che proprio qui culminano con il monte Petroso, 2249 metri, la cui visione ci accompagna fino al valico.
Dai 1496 metri di quota dei Tre Confini fino ai 1952 metri del valico, il dislivello è di 500 metri.

Giunto a Forca Resuni, l'escursione potrebbe concludersi perchè la bellezza del luogo raggiunto vale già tanto, ma osservare da vicino la maestosità del monte Petroso che sembra chiamarci, oppure la stimolante vicinanza del monte Capraro, ci fa sentire la necessità di completare l'itinerario.
La decisione è presto presa. Si punta sul monte Capraro e alla sua vicina vetta di 2100 metri che raggiungiamo con estrema fatica, in quanto già abbastanza provati dall'impegnativa salita lungo la valle dei Tre Confini.

dalla cima del Capraro, panorami eccezionali su tutta la Marsica e le montagne più lontane. Non da meno il pungente e balsamico profumo di resina che ci ha accompagnato lungo tutta la salita, un vero toccasana contro lo smog che si respira in città.
Sulla stretta cima del Capraro, tra pini mughi secolari e visioni aeree sul sottostante passo del Cavuto abbiamo completato la nostra traversata.

Per il ritorno, siamo scesi lungo il medesimo itinerario della salita, giungendo in una val Canneto che ci è sembrata più lunga e infinita rispetto all'andata, con le ombre della notte che sopraggiungeva e gli ultimi raggi del sole che arrossava i contrafforti rocciosi del monte Petroso che persino dopo il tramonto e con il cielo stellato, è rimasto illuminato da una tenue e particolare luce bianca.

Percorsi circa 22 km. per 1200 metri di dislivello in 9 ore.












































lunedì 7 dicembre 2015

Catena delle Mainarde – Lungo la cresta della Metuccia – secondo tentativo: RIUSCITO!



La giornata trascorsa sulla catena delle Mainarde lo scorso giovedì 3 dicembre, è stata un mix di combinazioni vincenti tra clima, caratteristiche fisiche del territorio, tipo di innevamento, nonché il periodo dell’anno che con la sua particolare inclinazione solare mi ha messo a disposizione una luce perfetta per creare composizioni fotografiche andate ben oltre le mie aspettative. 
Non posso dire di aver fatto la più bella escursione dell’anno ma sicuramente ho portato a casa una serie di fotografie che valgono un’intero anno di scatti. Davvero! 

Ma veniamo al racconto.
Dopo il recente e fallito tentativo di raggiungere in solitaria la vetta della Metuccia, riprovo la salita per lo stesso sentiero del versante molisano che avevo percorso un mese fa.
Sono quindi partito dal piazzale delle Forme, 1400 mt. in località Valfiorita, nel comune di Pizzone (IS).

Trovo un bosco completamente diverso rispetto a un mese fa, addormentato nel silenzio invernale, privo di quelle foglie dorate che lo rendevano magico e dalle atmosfere irreali.
La neve caduta di recente ricopriva il sentiero con uno strato che aumentava di spessore con il progredire dell’ascesa. Decine di orme di animali selvatici segnavano la neve e mi divertivo a cercare di riconoscerne gli autori.

Al termine del bosco, dopo una faticosa salita su neve a tratti alta e cedevole, l’alta val Pagana offriva spettacolari visioni sul monolito più elegante di tutto il Parco Nazionale d’Abruzzo/Lazio/Molise, una montagna dall’aspetto fiero e selvaggio, Sua Maestà, come viene definita, il monte Meta, o semplicemente La Meta in toponimo locale.
A sinistra del monte Meta, il passo dei Monaci, 1967 metri, si faceva sempre più vicino.

Affondando nella neve fin sopra le ginocchia, riesco lentamente ad arrivare al valico.
Da qui punto decisamente a sinistra, percorrendo la bella e facile cresta ondulata tra straordinari panorami in ogni direzione, in particolare sul versante est, che strapiomba con pareti verticali e circhi glaciali sui boschi della valle. L’innevamento è molto irregolare a causa del forte vento che ha accompagnato le recenti nevicate lasciando in alcuni tratti l’erba a vista, e accumuli consistenti in altre zone.

Percorro in un’ora e mezzo quasi tutta la stupenda cresta della Metuccia, superando alcuni piccoli pianori sommitali di origine carsica racchiusi da brevi pareti rocciose e arrivando a poca distanza dalla cima del Monte A Mare, 2160 mt. che non raggiungo a causa delle poche ore di luce che caratterizzano questo periodo dell’anno ed il pensiero di affrontare da solo il bosco di notte era il primo dei pensieri.
Mi fermo infatti su una bellissima vetta dall’elegante profilo conico e con una piccola croce metallica sulla cima. Peccato non abbia un nome ma quella per me rappresenta la conquista della mia giornata lungo un meraviglioso percorso che è andato ben oltre le mie aspettative. I miei programmi infatti erano quelli di raggiungere soltanto le vetta della Metuccia, ma dal momento che questa non è evidenziata da nessuna struttura e la neve ne ricopriva la scritta sulla pietra, l’ho superata continuando a camminare per un’altra buona mezz’ora.

Nel percorso a ritroso, ritornando al passo dei Monaci, mi sono mantenuto basso rispetto al filo di cresta per evitare i continui sali scendi affrontati all’andata e per mantenere un’andatura più veloce in previsione della scarsa luminosità che altrimenti mi avrebbe sorpreso e onestamente affrontare da solo il sentiero nel bosco con il buio era il primo dei miei pensieri.
Giungo infatti al piazzale del parcheggio con il giorno e come si dice spesso  in questi casi, stanco ma felice!




Il paese di Pizzone (IS) e la catena della Metuccia

Il cartello del Parco all'ingresso del pianoro Le Forme

Scorcio panoramico a sud, verso le montagne molisane 

La Meta e il suo Gendarme, 2242 mt. e 2200 mt. con il passo dei Monaci, 1968 mt. a sinistra 

La cresta della Metuccia e il valico del passo dei Monaci

Gendarme della Meta, 2200 mt.

Solo, io e il monte Meta

Eccomi sulla cresta della Metuccia

Dalla cresta della Metuccia, vista sulla lunga dorsale del monte Miele e più lontano, il gruppo del monte Greco

Il monte Meta, 2242 mt. dalla cresta della Metuccia

Le ripide pareti orientali delle Mainarde


Le pareti orientali della Metuccia strapiombanti sulla valle ed a destra la vetta

Dalla cresta della Metuccia verso la val Pagana e la lunga dorsale del monte Miele



 Cima senza nome, altitudine 2150 mt. circa

Cima senza nome e sullo sfondo il monte a Mare, 2160 mt.

Cresta della Metuccia

Monte Cavallo e monte Forcellone

La val Pagana da passo dei Monaci

Inizio della discesa verso la val Pagana

Gendarme della Meta, 2200 mt. - particolare

Eccomi alla piana delle Forme